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Nadia Spallitta

Ultimo aggiornamento

Intervento di Antonella Monastra nella seduta consiliare del 21 maggio 2009

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monastra_a.gifIntervento della collega Antonella Monastra (Un’Altra Storia) alla discussione generale del 21 maggio 2009 sulla delibera per il regolamento comunale per la Tarsu (leggasi aumento Tarsu!)

 

Dalla stampa locale (la Repubblica) dello scorso Giugno 2008: “In sei anni l’AMIA è passata  da una differenza tra costi e ricavi che segnava più di 2 milioni di euro a una perdita mensile di 3,6 milioni di euro. In sei anni il debito è passato da 38 a 186 milioni…..il tutto per raccogliere sempre le mille tonnellate di spazzatura che produce Paleremo”
Cosa è successo? È successo che c’è stata l’amministrazione Cammarata e alla guida dell’AMIA c’è stato il grande esperto presidente Galioto.

 

La scarsa chiarezza della delibera proposta mi ha indotto a fare un approfondimento per cercare di capire come si formi la tassa sui rifiuti (ovvero la tariffa laddove è vigente) e quali sono i meccanismi economici che possono coniugare profitto con qualità del servizio e sostenibilità ambientale . Per fare ciò ho utilizzato uno studio del CNEL (Rapporto Sulla Competitività Del Settore Dei Rifiuti Urbani In Italia  feb 2007)  istituto di ricerca che non può certo essere tacciato come  marxista e che raffronta l’Italia agli altri paesi europei (con cui ha un gap  “sul fronte dei maggiori costi e/o minori ricavi quantificabile in oltre 1 miliardo di Euro, lato “Conto Economico di sistema”, che, unito ai fabbisogni minimi di investimento, riconducono a circa 5 miliardi di Euro il divario rispetto alle migliori pratiche europee” e fa poi un raffronto tra le varie regioni italiane.
Lo studio individua alcuni indicatori di efficacia e di efficienza economica.

Efficacia/indicatori
• la capacità di contenere la produzione complessiva di Rifiuti Urbani, misurata dal rapporto tra produzione di rifiuti e Prodotto Interno Lordo;
• il livello di “indipendenza” dallo smaltimento in discarica;
• l’autosufficienza complessiva sul ciclo dei rifiuti.

Efficienza economica/indicatori
• il livello dei costi per unità di prodotto;
• il grado di autosufficienza economica (grado di copertura dei costi);
• la spesa sostenuta dai cittadini per il servizio.

NB la ricaduta sui cittadini in termini di spesa media per il servizio di igiene ambientale è un importante parametro.
Incrociando opportunamente questi indicatori lo studio evidenzia come la Sicilia (e non è certo una sorpresa..) sia nell’area degli “underperformer” cioè di quelle Regioni a bassa efficienza e bassa efficacia. Sono le Regioni in emergenza rifiuti che si trovano in queste condizioni per precise arretratezze strutturali. Non a caso, riferisce lo studio le Regioni caratterizzate da migliori performance economiche in termini di costi/ricavi sono anche quelle che
• riescono a contenere le dinamiche di crescita dei rifiuti (minimizzazione e prevenzione);
• fanno meno ricorso alla discarica come modalità di destinazione dei rifiuti;
• sono maggiormente autosufficienti in termini di ciclo integrato dei rifiuti.
Si evidenzia anche come il “non fare”, cioè il non raggiungere le migliori performance ha dei costi pesantissimi che lo studio valuta che siano intorno a 27 miliardi di euro.
Ed inoltre il sistema è arretrato, anche se ha locali e isolati punti di eccellenza se non c’è un “inquadramento delle varie iniziative all’interno di un piano strategico organico, in cui considerare a sistema tutte le variabili chiave, all’interno di un assetto di governance evoluto, caratterizzato da chiarezza di ruoli, responsabilità e logiche di pianificazione e controllo”  il che è un forte richiamo alla necessità che l’intera Regione Siciliana si doti di un Piano Rifiuti che risponda ai criteri sopra citati e che delinei con chiarezza i percorsi a garanzia della sostenibilità ambientale che non è certamente rappresentata dall’incenerimento.
Lo studio afferma anche con molta chiarezza come la qualità della performance non dipenda nella maniera più assoluta dalla natura giuridica del servizio smaltimento rifiuti, ma proprio da quelle variabili di efficienza ed efficacia economica che prescindono dunque da  “pubblico” o “privato”.
Dal ’98 in poi l’incremento dei costi di smaltimento è “interamente riconducibile all’aumento della produzione di rifiuti e alle dinamiche inflattive.”
Il che vuol dire che operando una riduzione della produzione e rendendo efficiente il ciclo si abbattono anche i costi e aumentano i ricavi
Un altro importante aspetto evidenziato dall’analisi ha chiarito come in realtà la profittabilità delle aziende sia molto diversa in funzione del grado di integrazione sulle diverse fasi della filiera. In particolare:
• le Aziende focalizzate sulle sole attività di Raccolta presentano una marginalità negativa (-4%);
• le Aziende focalizzate sulle fasi ad elevata intensità di capitale (smaltimento e trattamento) sono quelle caratterizzate dalle migliori performance reddituali (+7%).
Le discariche rappresentano un business che, nonostante tutti i vincoli posti negli ultimi anni dalle normative, riesce ad avere una redditività molto forte (intorno al 20% di margine di guadagno) il che la dice lunga sulla resistenza a promuovere una riconversione virtuosa nei paesi del Sud Italia dominati dalle mafie e dal malaffare.
A Bellolampo la discarica, per quelle che sono le mie conoscenze, non solo è in perdita economica costante, ma è anche a forte rischio chiusura immediata con le conseguenze che abbiamo già visto in Campania, ma con una differenza: in Campania il governo Prodi aveva predisposto tutte le infrastrutture necessarie, incluse le discariche, senza arrivare ad attivarle, cosa fatta poi da Berlusconi, il salvatore della Patria. Mentre a Palermo nulla esiste se dovesse scattare la chiusura immediata della discarica. E cosa sanno  i cittadini sulla reale situazione?
Continuando nella mia necessità di comprensione sono andata a sbirciare cosa avviene in altri luoghi in Italia ed ho esaminato il Rapporto dell’Osservatorio Provinciale dei Rifiuti di Torino pubblicato nel Luglio del 2007.
I costi, secondo il Rapporto, sono determinati da tre “dimensioni”: l’efficienza del gestore non è che la prima, ed è strettamente legata alla seconda dimensione, cioè alla struttura organizzativa e infrastrutturale che è possibile adottare da parte del gestore medesimo (distanza dagli impianti, possibilità di ripartire costi aziendali su altre linee d’impresa, proprietà degli impianti di discarica e di trattamento). La terza è data dalle caratteristiche del territorio, dalla popolazione, dal tipo di servizi che il territorio ed i Comuni chiedono o di cui hanno bisogno.
“Qualunque indicatore di costo si intenda utilizzare (euro/pro-capite, euro/per tonn …) esso sarà sempre il risultato sintetico di un complesso di leve e di servizi che non possono determinare una connessione diretta tra il livello dell’indicatore medesimo e la capacità organizzativa. Il costo del ciclo di gestione non è ancora quello che viene direttamente tradotto negli strumenti tariffari o impositivi della TIA e della TARSU. C’è infatti un ulteriore insieme di operazioni e di scelte, che vengono attuate questa volta nella sede dell’ente locale: è al livello del Comune che vengono
sommati eventuali costi sostenti direttamente dal Comune e in alcuni casi reperite risorse per “attutire” l’impatto economico sull’utenza”

Gli indicatori considerati
– CGIND: costo di gestione del rifiuto indifferenziato;
– CGD: costo di gestione delle raccolte differenziate;
– CG = CGIND + CGD; il costo complessivo della gestione“operativa”;
– CC (costi comuni) + CK (costi d’uso del capitale);
– costo complessivo (CG+CC+CK).
NB: il CGIND e dunque il CG sono fortemente influenzati dal Costo di spezzamento e lavaggio strade

Il confronto che faccio non è tanto legato ai contenuti della Relazione sullo stato del sistema di Gestione Rifiuti nella Provincia di Torino, quanto su alcuni aspetti formali, che sono però sostanziali in relazione alla trasparenza ed alla comprensione per i cittadini, su come si determinano i costi del sistema di gestione dei rifiuti.
Difatti mi premeva fare questa carrellata di approfondimento per sottolineare come la delibera che ci viene proposta sia estremamente carente sul piano della chiarezza e della leggibilità. Ciò per due motivi, il primo è che nella nota inviata dal Sindaco vengono richieste ai Dirigenti competenti tutte le informazioni necessarie (piano dei costi AMIA 2009 da sottoporre all’approvazione del Consiglio previa espressione del parere di congruità, modifiche e integrazioni al contratto di servizio, le modifiche del regolamento, etc) e di queste non c’è alcuna traccia, eccetto la relazione sulla modifica del Regolamento Tarsu, che propone la soppressione della deduzione dei costi di spazzamento (che verranno pagati dal cittadino con la modifica). E il secondo è che l’asserzione della necessità di dare all’AMIA 35 milioni di euro non trova alcuna plausibile spiegazione se non la generica quanto insufficiente affermazione che sono aumentati i costi diretti di smaltimento dei RSU. Dunque secondo il Sindaco dovremmo aumentare la Tarsu facendo un atto di fede, ma se lo stesso Dirigente competente ad esprimere il parere di congruità in aula si è rifiuti di farlo non avendo elementi sufficienti, perché dovremmo farlo proprio noi?
Chiamo anche in causa il nuovo CdA ed il suo ruolo. Il nuovo Presidente Caruso troppo spesso vuole tirarsi fuori dalle responsabilità di chi lo ha preceduto, cioè l’ex Presidente, oggi Sen. Galioto. Ed invece accettando l’incarico sapeva cosa si stava sobbarcando in quanto aveva per legge l’obbligo di conoscere la situazione giuridica ed economico-finanziaria dell’Azienda. Azienda pubblica, a totale capitale comunale per cui il Presidente è tenuto ad esercitare il suo ruolo non solo negli interessi della Società, ma anche e soprattutto dell’intera comunità cittadina. Anche il Presidente Caruso aveva come il Sindaco ruolo e titolarità a presentare querela e comunque ad accertare qualunque forma di irregolarità e di illeciti individuando i responsabili a tutela degli interessi dei cittadini, del Comune di Palermo e dell’AMIA stessa e dei suoi lavoratori. E invece egli ha avuto un atteggiamento di tutela solo nei confronti di chi lo ha preceduto dicendo “ora dobbiamo guardare al futuro”….
Ma come si può guardare al futuro con un passato come questo?
Un passato poco chiaro e pieno di attività aziendali sconosciute, genericamente denominate come spese di rappresentanza e investimenti i cui esiti e i cui profitti non è dato conoscere, ma i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti. Per non parlare di alcune fulminee carriere o di gare espletate nello stesso giorno per affidare lo stesso  servizio di smaltimento del percolato  con due differenti tariffe, una più del doppio dell’altra, a seconda del luogo di smaltimento. Io chiedo conto di ciò perché non so spiegarmelo e lo voglio chiarito. Come anche il perché sia rimasto inascoltato il monito che già il Collegio dei Revisori faceva in ottobre 2008, nella relazione al Rendiconto 2007, sull’assenza del bilancio 2008 ancora non approvato e di bilanci 2006 e 2007 già considerevolmente allarmanti insieme ai famosi disallineamenti. E sempre i Revisori invitavano a scrupolose valutazioni a Marzo 2009 in seguito alle note della Corte dei Conti sulla situazione dell’Amia e in ultimo il Ragioniere Generale parla nel Febbraio del 2009, mettendolo nero su bianco, di crisi irreversibile dell’AMIA. Al mio paese irreversibile significa che non si torna indietro, e come possono 30 milioni di euro salvare l’Amia dal baratro, se anche gli 80 milioni dello Stato non sono serviti a contenere quello che la Corte dei Conti ha definito deficit strutturale di una società che “per sopravvivere, miri ad un rimborso a piè di lista da riversare poi sui cittadini con l’aumento della Tarsu”?
L’Assessore Bavetta nel suo fondo sul Giornale di Sicilia dà il suo contributo a creare un clima di tensione con i lavoratori attribuendo all’aumento della Tarsu un valore salvifico per i conti dell’AMIA e quindi dei posti di lavoro. Quest’operazione è a dir poco sconcertante oltre che pericolosa e tenta di far scagliare i lavoratori contro l’obiettivo sbagliato. Egli parla del patto sociale secondo il quale fasce di precariato sono state assorbite dalla pubblica amministrazione sottraendole alla marginalità sociale, senza che però fossero realmente in grado di essere forze produttive a causa della natura “sociale” del contratto. Intendo precisare che la gestione clientelare del precariato ha fatto sì che non sia stata mai possibile una revisione dell’organizzazione del lavoro finalizzata ad un incremento di  produttività  in quanto qualunque tentativo di riorganizzazione è passato attraverso una fittissima ed intricata rete di rapporti clientelari tra i lavoratori e l’amministrazione che ha paralizzato ogni tentativo di innovazione. Oggi questo patto, afferma Bavetta, rischia di venir meno a causa di un contesto mutato: minori disponibilità di fondi statali e crisi generale. Ma l’assessore omette anche le nomine degli alti dirigenti legate a criteri di spartizione politica e non in base ad abilità e competenze, la disonestà, gli sprechi, la gestione della cosa pubblica ad uso personalistico e come sede di elargizioni per ampliare il consenso. Egli ci propone un aumento della pressione fiscale come misura temporanea in attesa di ricercare altre soluzioni per salvare l’Amia. Ma con quale credibilità l’amministrazione Cammarata può proporci misure temporanee, che ben sappiamo non lo sono. È di soli tre anni fa l’aumento del 75% della Tarsu e nulla è stato fatto per recuperare una situazione già difficile, gli stessi 80 milioni di pochi mesi fa presentati da Cammarata come risolutivi non hanno risolto un bel nulla, perché dovremmo credergli? I sacrifici ai cittadini si possono chiedere ma a fronte di un rapporto chiaro e trasparente: la richiesta di aumento in cambio di un piano di rientro dai disservizi, dell’avvio di buone pratiche  e della individuazione dei responsabili del disastro.

Leggendo il Contratto di Servizio siglato con AMIA nel novembre 2001 all’art.4 comma e si parla di efficacia, efficienza ed economicità, all’art.5 si parla dell’obbligo di tenere una contabilità con “idonee scritture che consentano in ogni momento” l’evidenziazione di qualunque movimento economico-finanziario della Società. In questi anni tali articoli sono stati ignorati dall’AMIA e dal Socio unico (comune di Palermo) che avrebbe dovuto curare i propri interessi a tutela dei cittadini. Infine all’art.15, in relazione agli standard minimi individuati dal successivo art. 16, si prevedono, in mancanza del rispetto di tali standard,  l’apertura di contraddittori e l’applicazione di penalità pecuniare. E, invece, con una società inadempiente rispetto al Contratto di Servizio, ci propongono un ulteriore aumento, a fronte del quale cosa ci garantisce Cammarata insieme al CdA dell’AMIA, quali sono gli obiettivi, gli indicatori, i tempi, le azioni, gli investimenti? Ancora una volta viene richiesto un atto di fede da un Sindaco inaffidabile ed un amministrazione incapace. Io voglio sapere, e vogliono saperlo anche i Palermitani, qual sarà la percentuale di copertura dei costi del servizio in seguito all’aumento e all’inclusione dello spazzamento come costo a carico del cittadino? Come viene calcolata? Nutro fortemente il dubbio che si sia già superato da tempo il 100% di copertura del servizio il che non è possibile per legge nemmeno con la TIA (tariffa igiene ambientale). Né del resto il Piano industriale  fornitoci dall’AMIA ci conforta più di tanto nella sua estrema genericità. Nella sintesi in mio possesso non vengono bene esplicitati gli obiettivi in relazione alle azioni necessarie e agli indicatori di verifica. Chiedo difatti se esista un Piano Industriale dettagliato e, se esso esiste, vengono specificate le azioni relative agli obiettivi e gli strumenti di verifica necessari? Analizzando le tabelle delle spese comprimibili si ha una conferma, qualora se ne sentisse la necessità, della cattiva gestione precedente. Mi riferisco in particolare ai fitti passivi di sedi aziendali (alcune, si dice, mai utilizzate in maniera trasparente o visibile) che eliminati abbattono tale voce di spesa del 71% (da 2.891.757 a 851.757 euro), al nolo di automezzi, cestini, bagni chimici etc. con un abbattimento dell’84% (da 4.552.710 a 750.542 euro, alla vigilanza delle sedi aziendali con un abbattimento del 65% ( da 1.601.507 a 560.527 euro) allo svuotamento cassonetti raccolta differenziata e conferimento in piattaforma  (-60%), al lavaggio cassonetti (-60%) e all’erogazione carburanti presso sedi aziendali (-80%).
Tali dati sono solo la punta di un iceberg di una pessima gestione che oggi si vuole far ricadere sulle spalle dei cittadini aumentando la Tarsu e sui lavoratori la minaccia dei licenziamenti, mettendo così gli uni contro gli altri e tutti contro noi che ci stiamo battendo contro l’aumento e per la vera tutela dei lavoratori  dell’AMIA, proponendo un tavolo per il vero risanamento della Società. Una strategia irresponsabile e pericolosa, che alimenta la disperazione e lo scontro sociale indifferenziato, distolto strumentalmente dalla vera controparte, cioè dai veri responsabili di questo disastro.
Cammarata non ha pensato in questi anni di dimezzare gli stipendi dei manager, di ridurre i consigli di amministrazione, di abolire benefit e spese di rappresentanza, investimenti fallimentari e operazioni poco chiare all’estero, rinunciando colpevolmente al suo  doveroso ruolo di controllo quale socio, spesso unico, delle società partecipate.
 
Difendere lavoratori e cittadini eliminando spreco e privilegio, battendo affaristi e mafiosi: è questo il vero patto sociale che chi governa la nostra Città dovrebbe rispettare!”




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