Soltanto la cara, vecchia pellicola è abbastanza “calda” per rubare alla storia la Vucciria e riconsegnarla alla città. Perché la reflex analogica riesce a catturare le immagini, ma virtualmente anche i sapori e gli odori di un mercato che ogni giorno muore un po’ di più. Le cassette di frutta perdono colore, i quarti macellati sembrano respingere il sangue, persino i cedri sono meno gialli: la Vucciria sorride malinconica e se ne va, come una bella donna che ha visto passare gli anni migliori e adesso è pronta a chiudere gli occhi.
Gli scatti affettuosi di Giulio Gallo Gallo (autore della foto in evidenza) hanno tentato forsennatamente di acchiapparla per un lembo di vita, ma alla fine hanno deciso di lasciarla andare, riservandosene però la memoria. «Era il 2014, e nella notte del 5 febbraio è crollata una palazzina in piazza Garraffello, che si ergeva proprio sul Loggiato che fu dei genovesi e dei catalani – racconta il fotografo nella prefazione di “La Vucciria – Il più antico mercato di Palermo” il volume pubblicato da Kalòs -. Spinto da questo evento doloroso, quasi annunziato, col mio mezzo fotografico decisi di essere presente in quei luoghi e di raccontare, senza infingimenti, la vita che ancora scorre all’ interno di quell’ area della città di Palermo. Gli scatti sono solo una nozione visiva della Vucciria, che resiste da sola, senza alleati, al suo declino; in una Palermo che divora se stessa, a partire dalle estremità per finire al proprio cuore. La vita della Vucciria che ho rappresentato spero possa, a luci spente, fare riflettere e capire che questo mercato va sostenuto. I “Vuccirioti” mi hanno accolto, e mi accolgono, fraternamente; e a loro dedico con stima e rispetto questa raccolta di fotografie».
Le foto sono belle, a colori e in bianco e nero, e saranno esposte da martedì alle 17 a giovedì alla Real Fonderia (piazza Fonderia alla Cala), in occasione della presentazione del volume. Il teatrino abbandonato di via dei Frangiai, il basolato in attesa, il cortile della morte dove un tempo abitava il boia, persino una barca abbandonata in piazzetta Tarzanà, il “panaro” che vola tra i balconi di via Terra delle Mosche; scarpe vecchie ed abiti usati, una birra per gradire, cavoli e cavolicelli, persino la ventresca di tonno che si affaccia dalle “buatte” di vetro. È la Palermo autentica che ormai prende i turisti per la giacchetta e li riporta indietro mettendosi in mostra; è la Palermo bella che si sorride addosso, compiacendosi del suo funerale e cercando le prefiche. Ma il volume di Giulio Gallo Gallo non vuol suonare malinconico, anzi: vorrebbe essere una spinta a recuperare, restaurare, restituire.
Così la pensano anche coloro che son voluti intervenire nella pubblicazione di Kalòs: «Respira affannosa oggi la Vucciria – scrive Nadia Spallitta, vicepresidente vicario del consiglio comunale -. Seduti davanti a botteghe spoglie, alle loro spalle facciate rugose di edifici abbandonati da politiche incerte e incuranti, tra calcinacci e intonaci cadenti, persiane precarie, cumuli di macerie e un tappeto di saracinesche spente delle cessate attività, osservano indifferenti i rari e frettolosi passanti, i pochi turisti incuriositi e attenti». Come racconta Francesca Fatta, l’odierna Vucciria ricade nell’antico quartiere della Loggia ed è sorta in seguito all’interramento del porto antico fra il X e il XII secolo. È stata sempre un mercato: orefici e argentieri, spadari, aromatai, banchieri e cambiavalute; le “nazioni estere” e le corporazioni maggiori edificarono lì le loro “logge” e i loro spazi di riunione e di culto. Attraverso la Bab Al -Bahr, la “Porta di mare”, il mercato si raccordava con la cittadella sopraelevata del Cassaro, dove iniziava As-Simat, la strada che conduceva dal mare alla Galqa e alla campagna.
Vucciria deriva dal francese “boucherie” (macelleria) e questo lo sanno tutti: nel XVI secolo il nome diventa Bocceria della foglia, ovvero accanto alle carni si aggiungevano altri generi alimentari e granaglie; nel XVIII secolo, “vucciria” indica anche il casino, la confusione di un mercato, ma anche il luogo di residenza di stranieri, vedi i mercanti orientali, pisani, genovesi, catalani, veneziani e amalfitani, che abitavano tra fondachi, botteghe, taverne, locande, case da gioco e postriboli. Camminando per la Vucciria si scoprono i punti di riferimento delle antiche corporazioni: a piazzetta Sant’Andrea si riuniva la Confraternita degli Aromatai, a piazzetta Sant’Eligio lavoravano orefici, argentieri e ambrai. A Sant’Eulalia si ritrovavano i Catalani, mentre gli Amalfitani preferivano la già citata Sant’Andrea degli Amalfitani.
Piazza Garraffello era il suo centro vitale, delimitata dai palazzi Mazzarino, Ramacca e Zoppetta, che guardavano alla fontana della pigna, eretta nel 1591. Qui aveva la sua sede dal 1553, la “Casa della Tavola”, il primo Banco pubblico della città (e uno dei primissimi della penisola, con Genova, Messina e il Banco di Rialto a Vene zia), che si sarebbe trasferito nel ‘700 a Palazzo Senatorio. Sempre nello stesso periodo fu costruita la Vicaria, dove attualmente si trova l’edificio delle Reali Finanze. Nel 1783 il viceré Caracciolo stabilì la disposizione dei banchi di vendita per creare una loggia quadrata che nel XIX secolo, fu ampliata. Il taglio della via Roma del 1927 ruppe l’organicità non solo della piazza, che si ridusse notevolmente, ma anche dell’assetto complessivo del mercato.
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