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venerdì, 22 novembre 2024
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Nadia Spallitta

Ultimo aggiornamento

Al Laboratorio Zeta si continua a progettare – Sgombero permettendo si fa lezione di architettura

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labzeta.jpgUn progetto architettonico per la rivalutazione delle costruzioni esistenti a Palermo al fine di offrire un servizio abitativo a quelle categorie sociali che quotidianamente lottano per il diritto alla casa o che semplicemente sopravvivono tramite chi mette loro a disposizione un tetto sotto cui ripararsi: è questo il progetto che è stato presentato ieri sera alla inaugurazione della nuova stagione culturale del Centro Sociale Occupato e Centro per l’accoglienza dei migranti Laboratorio Zeta di via Arrigo Boito. Protagonisti della serata dedicata all’architettura sostenibile, e che vede proprio il Laboratorio Zeta al centro di uno dei sei progetti di riqualificazione edilizia, il ricercatore universitario dell’Università di Palermo Giuseppe Marsala e i suoi alunni. (Qui nella foto alcune studentesse -Alida Cuffaro, Roberta Leotta e Ribaudo Vittoria- ritratte con il ricercatore Giuseppe Marsala e il modello del progetto da loro ideato e realizzato per il Laboratorio Zeta di Palermo).
Alida Cuffaro, Roberta Leotta, Tancredi Vasile, Vittoria Ribaudo, Fabiola Curcio, Antonella Mavaro, Alice Bruno, Salvatore Festosi, Vincenzo Martines e Salvatore Carbone sono gli studenti del primo anno del corso di laurea in Scienze dell’Architettura (sda) di Palermo, impegnati nel 2008/09 nel Laboratorio di Progettazione I, ad avere realizzato i grafici e il plastico riguardante una ipotetica ristrutturazione dell’ex asilo abbandonato. Ieri sera, nella sala che abitualmente ospita le rassegne cinematografiche e i dibattiti, i futuri architetti sono stati applauditi da un gran numero di partecipanti. Oltre al modellino in scala, che mostra come sarebbe possibile, “con pochi sacrifici economici” ribadisce Marsala, ottimizzare gli spazi e creare una zona sopraelevata per aumentare la vivibilità e la privacy dei migranti sudanesi ospitati dal 2003, è stato proiettato un documentario sull’emergenza abitativa nel capoluogo siciliano. Il documentario, collegato al progetto illustrato dallo stesso Giuseppe Marsala sul sito internet www.Kom-pa.net http://www.kom-pa.net/index.php?option=com_content&task=view&id=477&Itemid=1
ha mostrato al pubblico le realtà delle persone che vivono nella “città dei containers”, ovvero le famiglie che da due anni vivono nelle case-containers di via Messine Montagne, (Nb. vedendo scorrere le immagini del reportage sembra di vedere un classico centro nomandi organizzato dalle amministrazioni locali, ma questa volta gli abitanti non sono stranieri dell’est con culture differenti da quella italiana, avvezzi ad esempio al nomadismo e a certi accampamenti urbani; sono palermitani doc non terremotati ma semplicemente senza un alloggio popolare), e quelle che hanno occupato la cosiddetta “Casa Guzzetta”, un edificio regionale abbandonato che oggi, semi ristrutturato con la possibilità dell’utilizzo dei servizi igienici e reso minimamente “abitabile” dagli stessi occupanti, è abitata da circa quindici famiglie che fanno parte del “Comitato Lotta per la casa 12 luglio”. Durant ela serata inoltre sono state proiettate delle diapositive riguardanti l’intero Laboratorio di Progettazione I della facoltà di Architettura curato dal ricercatore Marsala; al pubblico sono state mostrate e spiegate le situazioni architettonico-abitative: 1. “Living in the box”: container di via Messina Montagne; 2. “Abitare condiviso”: le comunità conviventi del Laboratorio Zeta di Via Arrigo Boito; 3. “Autorecupero ed autocostruzione”: casa Guzzetta; 4. “L’abitare variabile: "l’occupazione" dello scheletro di una insula Zen 2 a Palermo; 5. “Abitare tra sotto e sopra”: casa collettiva al Ponte Ammiraglio; 6. “Living on the roof”: il 20% per chi non ha casa.
 
Eravate al corrente della situazione abitativa qui a Palermo prima di realizzare questo progetto con l’Università? Come ne siete venute a conoscenza?
 
“Io non ne avevo idea – dice Alida di Montallegro (Agrigento), una ragazza che fa parte del team di giovani progettisti che hanno realizzato tra gli altri il restyling del Laboratorio Zeta- , sono fuori sede e prima di venire a Palermo per frequentare l’università non mi ero mai resa conto che ci fosse una emergenza casa.” “Anch’io ho scoperto questa situazione venendo ad abitare a Palermo. Quando il professore ci ha presentato la materia e l’idea da realizzare -spiega Roberta Leotta di Giarre (Catania)- ci ha subito spiegato quale fosse a livello sociale la situazione a Palermo. Abbiamo fatto anche un seminario sul tema prima di cominciare a progettare soluzioni concrete per queste persone”. “Io invece essendo di Palermo questa situazione dramamtica la conoscevo. -parla Vittoria Ribaudo un’altra progettista- Come si fa ad ignorarla? Non si può non sapere che esiste l’emergenza casa e che è grave. Basta ascoltare un telegiornale o leggere un quotidiano. Se ne parla sempre”.
 
Da quanto e perché vivete nell’ex asilo di via Arrigo Boito. Chi sono gli occupanti?
 
"Il Laboratorio Zeta è stato occupato -ci spiega uno degli animatori del centro d’accoglienza che tiene a rimanere anonimo- per farne un centro di aggregazione culturale nel 2001 da giovani studenti, laureandi e laureati, liberi professionisti, professori della scuola pubblica che ancora oggi lo gestiscono come volontari”. “Lo ZetaLab di Palermo – ci spiega un altro simpatizzante del Centro Sociale- non è solo un centro sociale occupato, ma rientra tra i centri d’accoglienza per senza tetto delle liste della Provincia e offre posti letto ai migranti quando i centri del Santa Chiara o quello di Biagio Conte hanno esaurito le loro possibilità. Qui l’erogazione dell’acqua è infatti pagata dal Comune ma, a differenza di questi ultimi due centri, qui il migrante non può ottenere la residenza. Una cosa questa -continua- che crea molti disagi quando le persone che qui vivono devono ricevere documenti o avvisi. Noi quindi non solo chiediamo di non essere sgomberati il 22 settembre (Nb. E’ in corso il tentativo di sgombero degli occupanti. L’ufficiale giudiziario il prossimo 22 settembre visiterà la struttura per la terza volta cercando di chiudere il Laboratorio Zeta per restituirlo alla pubblica amministrazione che a sua volta lo affiderebbe ad un ente che ci realizzerebbe un asilo privato a pagamento) ma chiediamo anche che qui i migranti possano ottenere la residenza come avviene negli altri Centri d’Accoglienza, così da migliorare i nostri servizi alla comunità locale. Noi chiediamo di rimanere aperti e attivi, continuando ad offrire servizi culturali e sociali alla zona Notarbartolo e a tutta Palermo come da anni già facciamo nella totale pacifica convivenza con i cittadini di via Arrigo Boito”
 
Come affronterete lo sgombero?
 
“Non ci lasceremo mandare via. – dice una ragazza volontaria del Centro- Assicuro che saremo “sul tetto che scotta” -lo slogan che abbiamo creato per dire no alla nostra chiusura- dalle prime ore del mattino e qui con noi ci saranno un centinaio di persone, cittadini, operatori sociali, artisti che in questi otto anni hanno “vissuto” anche se solo per poche ore qui al LaboratorioZeta condividendo le proprie esperienze e idee con noi. Noi dei centri sociali non siamo una piaga come dice qualche assessore, siamo una risorsa”.




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