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domenica, 22 dicembre 2024
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Nadia Spallitta

Ultimo aggiornamento

Alli Traina

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Alli Traina – scrittrice

Ho scritto questo racconto pensando a Palermo, interrogandomi sul motivo di quel fascino misterioso che tanto mi attrae. Quello che mi ha sempre affascinato della mia città, è la sensazione che fra i suoi vicoli più stretti, all’interno delle sue botteghe possa sempre succedere qualcosa di straordinario, inspiegabile e misterioso. Credo che siano i personaggi, le loro storie, il loro modo d’essere a sintetizzare il senso, a raccontare l’identità della città.

Libri

Una domenica mattina di circa un anno fa passeggiavo fra le bancarelle di piazza Marina. Vecchi dischi, specchi barocchi, libri antichi e reperti provenienti dalla Russia, una macchina fotografica e un collo di visone, lo sfincione appena sfornato e due quadri che ritraevano la stessa donna. Un comodino di legno, fu quello che  acquistai.
Tornai a casa, sistemai il comodino in camera da letto: ci misi su il mio lume rosso, il libro che stavo leggendo. Presi altri volumi, aprii l’unica anta del mio mobile per conservarli, odorava di legno.
Ma non solo.
Odorava di pagine antiche, ammuffite. Bastò poco per accorgermi che dentro il comodino c’era un libro. Le pagine erano gonfie, come se avessero preso dell’acqua e si fossero asciugate dentro quel legno. Lo presi in mano. La consistenza era fragile. La copertina ritraeva un bambino con i capelli lunghi e la divisa da marinaio.
Non fu quello che mi colpì.
Quello che mi fece sussultare, fu la scritta, dipinta a mano sulla copertina: “Non Leggere”.
Rimasi attonita per qualche minuto, osservando ogni piccolo particolare della prima e della quarta di copertina, le uniche a cui mi era concesso l’accesso. Non vi era niente, solo quel bambino del secolo scorso. E quella scritta. Non leggere.
Ripassai mentalmente il viso accigliato dell’uomo che mi aveva venduto il mobile. Aveva una cicatrice sulla mano. La moglie era russa. Non ricordavo nient’altro.
Ritornai al mio libro, mi era insieme impossibile aprirlo e non aprirlo. Una forza misteriosa mi spingeva a dare dignità a quella frase, a rispettarla, ma la curiosità alla fine mi dominò.
Sfogliai freneticamente le pagine. Ingiallite  e macchiate.
Non vi era scritto nulla.
Poi, d’improvviso un foglio strappato da un quaderno a quadretti, nascosto tra il vuoto delle pagine.
Questo, più o meno, fu quello che lessi.

Esiste un uomo, che sa parlare tutte le lingue del mondo, un uomo che conosce tutte le parole del mondo.
Uno scrittore senza romanzi, un poeta senza poesie.
Si dice che l’uomo conobbe una donna sbucata fuori dal nulla che ben presto si trasferì nella sua misera stanzetta nascosta dietro un passaggio ad arco di quello che fu l’antico quartiere ebraico di Palermo.
Si racconta che la prima volta che il poeta vide quella donna, rimase a osservarla a lungo, in silenzio.
Poi le regalò una parola.
Prese il suo quaderno, quello dove annotava i suoi versi e le sue storie, lo sfogliò per molto tempo, ci ragionò e poi scelse la più bella che avesse trovato, strappò quel piccolo pezzo di foglio e glielo regalò.
Il giorno dopo ne scelse due di parole, due compagne, che da sole non valevano molto ma insieme erano pura poesia. Strappò quel pezzetto di foglio più grande e glielo donò.
E poi un’intera frase, mezzo foglio ripiegato su se stesso e lasciato sotto una tazzina da caffè.
Due frasi, un’intera poesia.
E poi un racconto, un poema e una canzone, un romanzo e un’opera teatrale, fogli su fogli, parole dopo parole.
Si racconta che la donna si immergeva totalmente in quelle letture, fino a recitarle ad alta voce. Le imparava a memoria. Le ripeteva a sé e agli altri. Si dice che fu in quel momento che nacque il mito del poeta senza poesie.
Successe poi che quell’uomo cominciò a regalarle anche i suoi pensieri, le sue intuizioni, i suoi ragionamenti. La donna vi si immergeva fino a comprenderli pienamente. Poi glieli restituiva sotto forma di baci e carezze. Erano diventati un’armonia, un unico, personale, battito.
Quando il poeta si apprestava a scrivere qualcosa, la donna cominciava a sentire le parole prima ancora che lui le scrivesse, e mentre le scriveva lei le pronunciava. Nell’istante stesso in cui lui costruiva la poesia sul foglio lei già la declamava.
Per gioco, mentre scriveva i suo versi, il poeta se li faceva raccontare da lei, che li indovinava, ancora più belli di come stavano nascendo. “Non leggere” le diceva, e lei senza guardare il foglio declamava la poesia appena scritta. Fino a che non ci fu più bisogno di scrivere, fino a che prima ancora di scrivere su quel quaderno col bambino vestito da marinaio, le parole sgorgavano dalla bocca della donna.
Fino a che lui non ebbe più niente.

Questo fu quello che lessi sul libro trovato per caso in un mercatino dell’usato a piazza Marina.

 
 
 
 
 
 
 
 

 

Alli Traina , giovane scrittrice palermitana, dopo aver lavorato come ricercatrice universitaria in Finlandia, presso l’Università di Turku, al suo rientro decide di viaggiare: Kenia, Marocco, Tunisia, Messico, Russia, Turchia, Cuba sono alcune delle sue mete. E’ in questo continuo rispecchiarsi in luoghi “altri” che scopre, o meglio riscopre, l’interesse per le sue radici, per la sua terra d’origine. Al ritorno a Palermo decide di trasformare in un libro,  “Vicoli Vicoli Palermo. Guida intima ai monumenti umani” edizioni  DARIO FLACCOVIO, i racconti della sua città che ha narrato alla gente incontrata all’estero.




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