Daniele Moretto – poeta-scrittore-cantante lirico
L’isola dei paradossi e i paradossi d’Isola
La mostruosità sembra appartenere alla Sicilia come un suo elemento caratteristico, un dato culturale, una malapianta. Sarà quella siciliana la terra che ha in sé la più forte pulsione di morte? Sarà anche per questo motivo che manca, qui molto più che altrove, il senso della comunità? E’ anche per questo che la crescita qui, è in tutti sensi, lentissima (tranne che ovviamente rispetto al consumo degli elettrodomestici)? Non è forse la cultura della vita attecchita così poco, qui? E non è forse così facile attentare ad essa, alla vita stessa? Non è, insomma, qui evidente il paradosso di vedere orribilmente offesa, fisicamente e moralmente, una delle più belle isole del mondo?
A me pare che la vicenda del radar che l’Enac vorrebbe installare ad Isola delle Femmine sia l’ulteriore dimostrazione di questo uso e abuso paradossale della natura. Persino il vento viene ora preso a pretesto per costruire una struttura mostruosa senza tener conto minimamente delle conseguenze sulla salute degli abitanti. E vi è un paradosso nel paradosso. Ché Isola delle Femmine ospita una riserva marina, direi naturalmente, vista la bellezza e la stessa conformazione fisica del sito. Guardandola dall’alto, per esempio scendendo da Montelepre, l’isoletta somiglia infatti ad un pesce, esattamente ad una razza, che con il vento e la schiuma del mare sembra quasi muoversi. Ma al di là delle immagini poetiche (per nulla secondarie, a dirla tutta: ogni grande civiltà ha prodotto grandi artisti!), qui il paradosso è che si rischia di avere un eco-mostro in un luogo in cui si cerca di faticosamente preservare l’ambiente. Faticosamente perché già il paese ha a che fare con le sostanze nocive prodotte dal cementificio. Ma vi è un altro paradosso, ed è che Isola delle Femmine sta cercando, nonostante tutto, di fare una politica turistica a partire proprio dalla bellezza del territorio, dal mare, dalle suggestioni di tutto il litorale che, peraltro, chiamano in causa i paesi limitrofi. Ora, quale impulso potrebbe dare a questa politica virtuosa un radar come quello che L’Enac vuol costruire? E’ del tutto evidente che sarebbe solo un pugno nello stomaco, ovvero un fattore frenante se non distruttivo.
E a parte ciò, dopo aver seguito l’incontro organizzato presso la Biblioteca Comunale dal Comitato “Isola pulita” e in particolare l’intervento del suo Presidente, la dottoressa Pellerito, mi sono convinto che le motivazioni a sostegno della costruzione del radar sono assolutamente inferiori alle tesi ambientali e di salvaguardia della salute collettiva addotte dal Comitato e del resto sottoscritte da tutti i rappresentanti delle istituzioni e dei vari schieramenti politici. Addirittura, ed è questo un fatto da sottolineare, i tre candidati delle imminenti elezioni a sindaco hanno promesso di indicare la loro contrarietà al radar nei rispettivi manifesti elettorali. Anche l’amministrazione comunale di Capaci ha dato la sua adesione ad una manifestazione di protesta che si terrà entro il mese e che coinvolgerà tutta la popolazione.
“Annozero” dedicato a Lampedusa con il suo doppio dramma: dell’accoglienza dei migranti e del pericolo di perdere la propria identità di isola di pesca e di turismo. Per usare una metafora marinara è uno delle tante remore attaccate allo scafo di una nave che naviga in acque popolate quanto agitate. Quelle concrete del canale di Sicilia hanno assunto una connotazione negativa che non avevano più dopo le guerre puniche. Il meccanismo che si è instaurato esalta la cultura e lo spettacolo della morte, più ancora della morte stessa. Un circolo vizioso che offende la cultura prevalente della Sicilia, che è dell’integrazione e dell’accoglienza.
Accoglienza, questa la parola, questa la risorsa! La Sicilia può accogliere concretamente non solo i migranti nella sua terra ma, politicamente, anche i loro paesi di provenienza nel suo orizzonte interculturale. Ci sono tante strutture a solo volerle prendere in considerazione: i numerosi borghi rurali ESA ora dei Comuni, i caselli abbandonati dalle Ferrovie, le case dell’Anas abbandonate o inutilizzate… Quanti individui e nuclei familiari potrebbero trovarvi alloggio, formazione, attività? La Sicilia può essere un ponte di comunicazione con il continente africano, dal quale ci separano poche miglia. Dobbiamo trasformare in tutti i sensi il “canale”. La Sicilia è, per ragioni geografiche, storiche e culturali la piattaforma ideale di un nuovo processo di sviluppo che può anzi deve ormai essere pensato in termini di area geopolitica senza confini. In definitiva, poi, la realtà che gli sbarchi ci mettono davanti è che quanto più velocemente penseremo la terra come unità, tanto più eviteremo drammi e lutti inutili e ormai davvero anacronistici.
Si tratta di un processo di sviluppo che la Sicilia può suggerire autonomamente, anche con punte di eccellenza sul piano dell’impostazione metodologica (penso alla lezione di Danilo Dolci e anche al Borgo di Dio come sede di accoglienza ed elaborazione), ma che l’Unione Europea ha tutto l’interesse a sostenere per motivi diversi e fin troppo evidenti. Una di queste ragioni è che un impulso serio in tale direzione sarebbe una risposta vera alla questione meridionale.
A me pare che pochi siano accorti e si siano accorti che quanto sta avvenendo ormai da anni sia in realtà un invito e non un pericolo, un’occasione anziché un guaio. Un’occasione d’oro di sviluppo. Solo chi pensa in termini di unitarietà e di vera fratellanza può permettersi di essere ottimista, perché l’ottimismo proviene dalla fiducia nell’umano e dal rispetto dei diritti di ogni individuo.
La cronaca ci racconta invece di un neo-centro di identificazione sorto per volere dell’attuale governo, il quale, soprattutto nella persona del senatore Cota, sembra non rendersi conto di remare contro corrente. E’ evidente che questa pensata viene meno alla comprensione di due evidenze: la vita dell’isola, ovvero i problemi della convivenza dei lampedusani, e l’impossibilità di fermare qualsivoglia flusso. Nessuno può fermare l’ondata migratoria. E’ come voler fermare la Necessità. Gli accordi con la Libia e con la Tunisia sono forse anche delle sconfitte sul piano diplomatico, e in ogni caso sembrano poggiare sul presupposto erroneo della logica del rimpatrio. In questo senso l’Europa che pretende avere una politica estera originale dimostra per intero la sua inconcludenza e, sul piano umano, la sua debolezza.
Mi chiedo se l’azione del governo, con la Lega in prima fila, non sia nutrita da un sostanziale disprezzo della Sicilia rappresentata in questo caso da Lampedusa (e non si capisce come gli isolani possano dar credito a una compaesana con il fazzoletto verde che dimostra di avere a dir poco le idee confuse). Non è forse la Lega animata da un sostrato di superiorità e di volontà di allontanarsi dal Sud del suo stesso paese?
Il paese Italia, poi, sul piano storico, che figura ci sta facendo in tutta questa vicenda? Beh, a pochi giorni dalla Giornata della Memoria, dimostriamo di aver dimenticato troppe cose: troppi problemi di lavoro, troppe valige di cartone, troppi porti che ci accoglievano certo non coi guanti bianchi ma non ci rimpatriavano, troppi viaggi su navi affollate, per certi aspetti miracolose, e che comunque portavano al futuro.
Gio 29 gennaio 2009 (Casa Flo, con Vito)
TUTTI LONTANI
Canto vitale in memoria di Paolo Borsellino
Tutti sappiamo che i morti ci vedono,
siamo per loro una città lontana
affacciata sul mare,
ci scorgono esposti alla nostra condizione
e vorrebbero dirci una parola…
C’è chi pensa di averli accanto,
sia pure oltre il muro, i propri cari,
a guidarlo…
Monica mi sveglia da Firenze con un sms.
“Oggi è la luna piena di luglio,
in India si festeggia il Gurupurnima
pare sia il giorno in cui gli Avatar
si mettono in ascolto
e gli uomini possono far suppliche”.
E c’è da anni questo volto che parla…
Ma se i morti parlassero, sapreste
che la morte è altra cosa
da quello che pensate.
Giudice!
Dunque, Lei sa già cosa voglio dire!
Le parole provengono dal cielo
e ad esso ritornano.
Il tuo discorso, come il mio,
scorre nell’acqua
che avvolge la memoria del cosmo.
Niente è separato dall’origine.
Chi scrive sa che scrive per i vivi.
Sì, i morti imparano altre cose.
E i vivi, cosa devono imparare?
Che la vita è una scuola,
vi si transita per imparare.
A me pare che pochi stiano attenti,
che i più dimentichino tutto, Giudice.
I vivi non imparano
a essere vivi.
Imparare, già, e quanti maestri!
A fare, in questa valle, anima
a vedere davvero
a vero far l’esistere
ad ascoltare
aiutare a far nascere
e far crescere coscienti
a seminare per raccogliere
per poi seminare di nuovo, il nuovo
– quello che fa la vita.
Ciò che nutre e determina la vita.
Come si impara l’esser vivi?
Osservando le leggi.
Quali leggi?
Le leggi naturali.
E dove sono scritte?
Nella vita!
(quasi parlando tra sé)
Pèrdono invece tempo, i vivi,
e poi pretendono diventare ricchi
tanto più quanto più sprecano
l’oro dell’esistenza
quanto più si svuotano
le tasche del suo senso
– potrebbe essere il loro! –
buttano via tutto
appena adulti o si credano tali,
gesti inconsulti, imitazioni stupide
di altri gesti – non gesta –
giocano senza verità, incapaci di vere azioni,
si svuotano e si riempiono parlando
un chiacchiericcio che frigge
brusìo da corridoio, da bus affollato
parlottìo afoso…
Capisco,
esempi del discorso spezzettato.
Ma… i morti cosa si dicono
quando si incontrano?
Le anime come comunicano?
Perché vuoi saperlo?
Serve piuttosto far capire ai vivi
che essi non si ascoltano,
non si capiscono.
Perché non ci capiamo?
Perché non ascoltiamo?
Siete tutti lontani.
Lontani?
Siete tutti lontani dalle leggi
e dalla legge madre di ogni legge.
Siete pertanto – fuori dall’amore –
lontani tra di voi.
Lontani dalla luce,
non comprendete il senso del viaggio
né chi vi sia compagno;
pochissimi si salvano
e non basta essere giudici
per essere giusti…
Dimmi, piuttosto, della mia città.
La città è scura, la città è chiara
arranca, s’arrabbatta
coi suoi espedienti nonostante tutto,
la città è disperata e spera,
la valanga dell’ignoranza avanza
dell’indifferenza
della politica contro la polis,
ma la città ha mura ancora forti di esperienza
e i contrafforti della pazienza,
è da dire che il principe è un fantasma
non si sa di che colore ha il sangue
ha paura del confronto,
dimentico degli ultimi, diviene ultimo
il primo cittadino,
la città si piega la città prega
segue devota il carro della santa,
dimentica l’offesa ripetuta
come donna venduta e ricomprata
non porta mai rancore, sì tristezza.
Le piccole conquiste costate sangue
si riperdono giorno dopo giorno
pietra su pietra si consuma
eppure la città profuma
ancora di salsedine e gelsomino
ai mercati saltano pesci e colori
sorrisi e bellezze femminili salvano
i giorni spesi a ricercare invano
un rimasuglio di comunanza
il capo nel garbuglio.
Ah, come amavo le giornate di Luglio
quelle sì che mi furono strappate
e il filo quotidiano dell’affetto
dei miei mi tiene ancora legato
al dolce mondo così spesso amaro…
(dopo una pausa)
La gente, la gente…
Cosa?
Il popolo. Per esso ho fatto tutto.
Il popolo non deve mai arrendersi
però va preparato, moralmente
educato persona per persona:
ogni fiore appartiene all’universo
ogni creatura ha senso
a ognuno spetta la sua fioritura.
La voce si allontana, non si spegne
– le onde mutano d’intensità
e muta la mia attenzione.
Ritornerà nel corso delle ore
arando la mia mente, diradando
dubbi e rimettendone altri
più o meno ardui al vomere.
Ha vissuto circa vent’anni a Firenze, dove si è formato letterariamente e musicalmente. Laureatosi con Sergio Romagnoli con una tesi sul Movimento Ermetico, considera il lavoro poetico nell’alveo di quella tradizione (come direbbe Rilke, del fare cose).
Ha pubblicato vent’anni di lavoro nella silloge Splendore della materia opaca (Edizioni Polistampa Firenze, 1997) con presentazione di Alessandro Parronchi. Dal 1992, ha curato un lavoro parallelo di divulgazione della cultura poetica – cioè: cultura della vita! – attraverso il mezzo audiovisivo, con il Progetto FARI – la poesia nella realtà.
Proprio da quel progetto è scaturito l’incontro con Danilo Dolci nel 1996 a Partinico, incontro che ha prodotto sviluppi importanti nella sua visione delle cose poetiche, sociali, educative.
Si occupa di didattica maieutica, ed è coinvolto direttamente in problematiche sociali, in special modo a difesa dei diritti dell’infanzia.