Rosanna Pirajno – architetto
Cittadinanza consapevole e competente
«L’incenerimento degli rifiuti solidi urbani è, fra tutte le tecnologie, la meno rispettosa dell’ ambiente e della salute. E’ inevitabile la produzione di ceneri (che rappresentano circa 1/3 in peso dei rifiuti in ingresso e devono essere smaltite in discariche speciali) e l’immissione sistematica e continua nell’atmosfera (di milioni di m3) di fumi, polveri grossolane …e fini … di sostanze chimiche (metalli pesanti, idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene, diossine e furani, ecc.) estremamente pericolose, perché persistenti ed accumulabili negli organismi viventi».
Quando a parlare in toni così allarmati sono categorie diverse dai “signori del no” accusati di voler salvaguardare solo il proprio orticello, e nel caso specifico sono medici pediatri riuniti nella associazione Isde, il minimo che i politici decisori delle nostre sorti dovrebbero fare è fermarsi ad ascoltare le ragioni della “cittadinanza competente”, prima di perseguire obiettivi destinati a incidere sulla salute di interi territori e delle persone che li abitano.
E’ la pratica democratica che lo richiede, almeno per le questioni che si rivelano complesse e per le soluzioni controverse, perché l’ascolto di diversi punti di vista (in cui spesso il comune buon senso si accorda con il saggio “principio di precauzione” ) e delle diverse prospettive che la scienza fornisce, ha più probabilità di condurre a scelte maggiormente ragionevoli e ponderate. Ma la nostra democrazia imperfetta si rivela tale proprio nelle questioni in cui il demos, cioè il popolo, non si dimostra consenziente su decisioni che intaccano a fondo gli assetti del territorio in cui vive, e che subisce in quanto calati dall’alto di logiche politico-amministrative nelle quali, magari solo in quel frangente, non si riconosce.
I “non allineati” che si oppongono, tanto per citare alcuni casi eclatanti, all’ampliamento della base militare di Vicenza – i No dal Molin – o alla linea dei treni ad alta velocità in Piemonte – i No Tav – o alla costruzione della più insensata delle millanterie come il Ponte sullo stretto – i No al Ponte – o di comitati simili che raggruppano grandi numeri di oppositori, sono in sostanza cittadini comuni, abitanti delle zone interessate a cui sta a cuore l’integrità del proprio territorio e la salute propria e delle generazioni a venire, in pericolo causa “effetti collaterali” non accuratamente monitorati.
Esempi del genere se ne possono citare a dozzine da quando la società, o almeno la parte più responsabile di essa, ha smesso di sottostare al ricatto della occupazione che l’opera in questione evoca, o ha smesso di credere all’immediato e subitaneo benessere economico che pioverebbe sulla regione che l’accoglie. Perché ormai molti sanno, come già avvertiva Pasolini, che lo sviluppo tecnologico, industriale, sanitario e altro che non comporti progresso culturale, quindi formazione, informazione, ricerca nelle arti e nella scienza, può migliorare le condizioni economiche e le finanze delle società che se ne avvalgono, o allungare la vita degli individui, ma non per questo arricchire tout court la vita. Mentre si sente forte il bisogno di diventare migliori, viste le derive autoritarie o antidemocratiche di molti paesi anche occidentali, e a riconoscerlo sono perfino illustri economisti che invitano a coniugare correntemente economia con ecologia, discipline che hanno la medesima radice eco-oikos-casa. Se si proponesse oggi alle popolazioni di Melilli e Priolo – zone in cui si registrano alti tassi di malformazioni infantili, leucemie e vari disturbi da “inquinamento ambientale” – un processo di industrializzazione del territorio simile a quello che negli anni 60 ha prodotto, con il polo petrolchimico, disastri ambientali e patologie croniche, per prima cosa pretenderebbero garanzie non negoziabili per salvaguardare le esistenze proprie e delle generazioni a venire, e il territorio.
Siamo in molti ormai ad avvertire che a causare la crisi della gestione dei rifiuti, e non solo in Campania dove ha assunto forme patologiche per infiltrazioni camorristiche, sia la società dell’usa e getta che produce al pianeta danneggiamenti gravi, a cui si rimedia però con soluzioni tampone, con rimedi tecnologici che fanno intendere come nel bruciare i rifiuti risieda la liberazione definitiva dal problema. In tal modo si trascura del tutto di indagare alla radice del sistema produzione-eliminazione rifiuti, non si attivano dibattiti pubblici sulla necessità di ridimensionare certi stili di consumi e di introdurre atteggiamenti virtuosi nella filiera che va dalla produzione agli usi e smaltimento degli imballaggi delle merci.
«Anzi sembra continuare imperturbabile la propaganda per il consumismo che ha raggiunto forme di vero e proprio plagio mentale di massa a difesa di un sistema squilibrato», dicono ancora i medici della Isde.
Se viceversa il pubblico viene informato e sensibilizzato, anche sul ruolo attivo che può e deve assumersi per la risoluzione della questione, allora le forme auspicate di selezione alla fonte dei rifiuti diventano stili di vita che non pesano sui singoli e men che meno sulla comunità, poiché il cittadino responsabile è il motore primo della democrazia come è da intendersi, di governo del popolo.
Si tratta quindi di chiedere e ottenere, da politici e amministratori che hanno il compito di gestire al meglio la cosa pubblica, non soltanto garanzie per la salute delle persone e dei luoghi quando in discussione sono “questioni ambientali”, ma anche una informazione corretta e plurale sull’oggetto del contendere e ascolto delle ragioni delle opposizioni che sono, bisogna ribadirlo, cittadini competenti. Nel caso specifico dello smaltimento rifiuti, è demagogico per non dire sospetto affidarsi all’inceneritore come panacea di tutti i mali, senza voler attivare la raccolta differenziata alla base, le cui enormi potenzialità produrrebbero ricadute molto positive nel “sistema paese”. Eccone alcune: sensibile diminuzione del carico di monnezza da bruciare, con conseguente abbattimento dei “danni collaterali” da fumi e polveri nocive, prevedibile ripensamento all’origine dei criteri di imballaggio delle merci, attivazione della ricerca su sistemi eco-compatibili degli stessi, creazione di nuove imprenditorialità nella invenzione e nel design di oggetti da materiale riciclato, con notevole risparmio di materie prime pregiate, salvaguardia di suolo, vene acquifere, salute e paesaggio causa sospensione della costruzione dei quattro sovradimensionati inceneritori programmati, radicamento nella cittadinanza di comportamenti virtuosi nella differenziazione dei rifiuti, partecipazione degli stessi alle decisioni che riguardano il proprio futuro e l’assetto del proprio territorio.
Non mi paiono cose da poco, specie in tempi in cui gli equilibri ecologici del pianeta sono molto, ma molto a rischio.
I “non allineati” che si oppongono, tanto per citare alcuni casi eclatanti, all’ampliamento della base militare di Vicenza – i No dal Molin – o alla linea dei treni ad alta velocità in Piemonte – i No Tav – o alla costruzione della più insensata delle millanterie come il Ponte sullo stretto – i No al Ponte – o di comitati simili che raggruppano grandi numeri di oppositori, sono in sostanza cittadini comuni, abitanti delle zone interessate a cui sta a cuore l’integrità del proprio territorio e la salute propria e delle generazioni a venire, in pericolo causa “effetti collaterali” non accuratamente monitorati.
Esempi del genere se ne possono citare a dozzine da quando la società, o almeno la parte più responsabile di essa, ha smesso di sottostare al ricatto della occupazione che l’opera in questione evoca, o ha smesso di credere all’immediato e subitaneo benessere economico che pioverebbe sulla regione che l’accoglie. Perché ormai molti sanno, come già avvertiva Pasolini, che lo sviluppo tecnologico, industriale, sanitario e altro che non comporti progresso culturale, quindi formazione, informazione, ricerca nelle arti e nella scienza, può migliorare le condizioni economiche e le finanze delle società che se ne avvalgono, o allungare la vita degli individui, ma non per questo arricchire tout court la vita. Mentre si sente forte il bisogno di diventare migliori, viste le derive autoritarie o antidemocratiche di molti paesi anche occidentali, e a riconoscerlo sono perfino illustri economisti che invitano a coniugare correntemente economia con ecologia, discipline che hanno la medesima radice eco-oikos-casa. Se si proponesse oggi alle popolazioni di Melilli e Priolo – zone in cui si registrano alti tassi di malformazioni infantili, leucemie e vari disturbi da “inquinamento ambientale” – un processo di industrializzazione del territorio simile a quello che negli anni 60 ha prodotto, con il polo petrolchimico, disastri ambientali e patologie croniche, per prima cosa pretenderebbero garanzie non negoziabili per salvaguardare le esistenze proprie e delle generazioni a venire, e il territorio.
Siamo in molti ormai ad avvertire che a causare la crisi della gestione dei rifiuti, e non solo in Campania dove ha assunto forme patologiche per infiltrazioni camorristiche, sia la società dell’usa e getta che produce al pianeta danneggiamenti gravi, a cui si rimedia però con soluzioni tampone, con rimedi tecnologici che fanno intendere come nel bruciare i rifiuti risieda la liberazione definitiva dal problema. In tal modo si trascura del tutto di indagare alla radice del sistema produzione-eliminazione rifiuti, non si attivano dibattiti pubblici sulla necessità di ridimensionare certi stili di consumi e di introdurre atteggiamenti virtuosi nella filiera che va dalla produzione agli usi e smaltimento degli imballaggi delle merci.
«Anzi sembra continuare imperturbabile la propaganda per il consumismo che ha raggiunto forme di vero e proprio plagio mentale di massa a difesa di un sistema squilibrato», dicono ancora i medici della Isde.
Se viceversa il pubblico viene informato e sensibilizzato, anche sul ruolo attivo che può e deve assumersi per la risoluzione della questione, allora le forme auspicate di selezione alla fonte dei rifiuti diventano stili di vita che non pesano sui singoli e men che meno sulla comunità, poiché il cittadino responsabile è il motore primo della democrazia come è da intendersi, di governo del popolo.
Si tratta quindi di chiedere e ottenere, da politici e amministratori che hanno il compito di gestire al meglio la cosa pubblica, non soltanto garanzie per la salute delle persone e dei luoghi quando in discussione sono “questioni ambientali”, ma anche una informazione corretta e plurale sull’oggetto del contendere e ascolto delle ragioni delle opposizioni che sono, bisogna ribadirlo, cittadini competenti. Nel caso specifico dello smaltimento rifiuti, è demagogico per non dire sospetto affidarsi all’inceneritore come panacea di tutti i mali, senza voler attivare la raccolta differenziata alla base, le cui enormi potenzialità produrrebbero ricadute molto positive nel “sistema paese”. Eccone alcune: sensibile diminuzione del carico di monnezza da bruciare, con conseguente abbattimento dei “danni collaterali” da fumi e polveri nocive, prevedibile ripensamento all’origine dei criteri di imballaggio delle merci, attivazione della ricerca su sistemi eco-compatibili degli stessi, creazione di nuove imprenditorialità nella invenzione e nel design di oggetti da materiale riciclato, con notevole risparmio di materie prime pregiate, salvaguardia di suolo, vene acquifere, salute e paesaggio causa sospensione della costruzione dei quattro sovradimensionati inceneritori programmati, radicamento nella cittadinanza di comportamenti virtuosi nella differenziazione dei rifiuti, partecipazione degli stessi alle decisioni che riguardano il proprio futuro e l’assetto del proprio territorio.
Non mi paiono cose da poco, specie in tempi in cui gli equilibri ecologici del pianeta sono molto, ma molto a rischio.
L’architetto Rosanna Pirajno è docente presso l’Università di Palermo in disegno dell’architettura, è vicepresidente della fondazione Salvare Palermo e direttrice della rivista “Salvare Palermo”.